lunedì 22 settembre 2014

Autismo: la speranza di azzerare i sintomi

Una ricerca americana mostra che una serie di esercizi messi in atto direttamente dai genitori possono bloccare la malattia sul nascere. Ma non mancano i dubbi

La notizia è di quelle che si aspettano da sempre. Finalmente si parla di una cura efficace contro l’autismo, un trattamento capace di far regredire i sintomi in più dell’85 per cento dei casi, senza farmaci né interventi impegnativi: solo una dozzina di incontri di un’ora in cui i genitori, nel corso di sei mesi, imparano una serie di trucchi per interagire diversamente con i figli e aiutarli a sviluppare meglio linguaggio e capacità di apprendimento.
«Sono stati i genitori, non i terapisti, a raggiungere questo risultato», sottolineano gli autori dell’articolo pubblicato sul Journal of Autism and Developmental Disorders. «Sono loro che trascorrono la maggior parte della giornata con il bambino e possono intervenire in ogni normale attività della routine quotidiana».

Più facile a dirsi…

Sembra troppo bello per essere vero, e in effetti le ragioni per esprimere qualche riserva ci sono.
La forza del metodo Infant Start starebbe infatti soprattutto nella precocità dell’intervento. La sua ideatrice, Sally Rogers, insiste molto su questo: «La maggioranza dei bambini ha mostrato miglioramenti significativi, rispetto a coetanei con gli stessi sintomi non trattati, entro i 2-3 anni, un’età in cui la maggior parte dei casi non è ancora stata nemmeno diagnosticata».
I piccoli inclusi nello studio invece sono stati riconosciuti come portatori del disturbo tra i 6 e i 15 mesi, un’età in cui, secondo i sostenitori di questo approccio, già si potrebbe diagnosticare questa condizione: i piccoli autistici tendono a fissare gli oggetti più del normale, a compiere gesti ripetitivi in maniera inconsueta, non mostrano la comune evoluzione dei neonati nell’emissione di suoni vocali, non cercano di comunicare con gli adulti e non mostrano interesse nell’interazione con loro.

Dubbi e speranze

Nel caso dei bambini inclusi nello studio la diagnosi era facilitata, e confermata, dalla presenza di altri fratelli più grandi con le stesse difficoltà, ma quanto sarebbe attendibile se estesa ai primi casi in famiglia? Si tratta di indicazioni molto generiche, che rischiano di etichettare con un disturbo dello spettro autistico bambini con tempi o modalità di sviluppo ai limiti della media ma non per questo patologiche. E che forse sarebbero rientrati nella norma anche senza il blando intervento previsto dal metodo.
Inoltre il miglioramento dei punteggi con cui si quantifica la gravità del disturbo si è registrata nella quasi totalità dei bambini, è vero, ma in una casistica totale davvero limitata: sei bambini sui sette sottoposti al trattamento. Davvero troppo pochi per gridare vittoria. Ma sufficienti per aprire uno spiraglio di speranza e giustificare uno studio su più larga scala che verifichi la validità di questo approccio precoce e “fatto in casa”, forse capace di limitare la disabilità legata ai disturbi dello spettro autistico.
Fonde healthdesk.it

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