I nuovi criteri fissati da una delibera votata ad agosto dall’Agcom, l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, non troveranno applicazione. Il ricalcolo già nel 2014 avrebbe fatto risparmiare alla Rai una decina di milioni e a Mediaset poco meno. L’applicazione del nuovo canone sulle frequenze nasce dall’esigenza di rivedere il quadro normativo. Con il passaggio dall’analogico al digitale i contributi graveranno sugli operatori di Rete, non più legati dunque come prima al fatturato. Il ministero allo Sviluppo Economico aveva chiesto un ripensamento. Lo stesso Giacomelli aveva scritto all’Agcom, evidenziando i minori introiti che le nuove regole avrebbe comportato per lo Stato, vanificando o quasi gli effetti salutari della spending review. E comunque un nuovo assist a favore del duopolio, una costante del sistema italiano che ha garantito per anni la spartizione dei ricavi provenienti da canone e pubblicità a danno delle piccole emittenti (che ora sono sul piede di guerra). L’Agcom è andato avanti, ritenendo fondate le osservazioni formulate dalla Commissione europea e lo fatto nonostante l’opposizione del presidente Angelo Cardani, lasciando al governo la decisione sull’adozione progressiva del provvedimento. L’approvazione è stata preceduta da una audizione del sottosegretario Giacomelli e da una consultazione pubblica. Tre commissari hanno votato a favore dello sconto, Antonio Nicita (Pd) si è astenuto nonostante il capogruppo in Vigilanza Rai, il dem Vinicio Peluffo, avesse giudicato la delibera «una grave forzatura». Michele Anzaldi, segretario della Commissione Vigilanza, anche lui esponente Pd, ha annunciato un esposto in Procura. E ora commenta: «Trovo, per usare un eufemismo, molto singolare che consiglieri che fanno riferimento al centrosinistra non abbiano tenuto conto delle posizioni del capogruppo Peluffo e di un esponente del governo...». Sarà scontro?
Fonte Leggo
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